
Regole per mantenere un’amicizia sana nell'industria creativa
Le conversazioni stimolanti non devono essere necessariamente dei podcast
15 Giugno 2025
La competitività nelle industrie creative è altissima, soprattutto perché il capitale culturale – ciò che muove e fa circolare idee, immaginari e oggetti – è intangibile e difficilmente tracciabile. Allo stesso modo, i rapporti umani reali diventano fragili, indefiniti, e spesso faticano a tradursi in relazioni concrete e stabili. Il confine tra amicizia e collaborazione è sottilissimo, in un sistema che annulla continuamente la distanza tra pubblico e privato. Come stiamo osservando, la Gen Z sta provando a riscrivere le regole del lavoro e, con esse, anche quelle delle relazioni tra colleghi. Ma mentre tentiamo di decostruire il vecchio modello produttivo, restiamo ancora invischiati nei suoi riflessi culturali: iper-presenza, to-do list come badge identitario, performance mascherata da passione. Così, mentre critichiamo il capitalismo, continuiamo a comportarci come piccoli CEO di noi stessi. Forse è arrivato il momento di darci delle nuove regole – micro, ma vitali. Anche solo per ricordarci che non è normale rispondere solo «sono pieno di cose da fare» alla domanda «come stai?».
Queste regole vogliono assecondare un cambio di paradigma già annunciato dall'arrampicatore, imprenditore e fondatore di Patagonia, Yvon Chouinard nel suo Let My People Go Surfing, un libro che parla di libertà creativa, rispetto umano e integrazione armonica tra tempo libero e lavorativo. La pubblicazione ricorda che il primo atto rivoluzionario è prendersi cura dei propri amici, anche perché, come scrive Chouinard parlando del modo in cui seleziona le persone con cui lavora, «preferiamo cercare persone attraverso una rete informale di amici, colleghi e conoscenti». Ed è proprio in queste reti (non nei meeting, non nei pitch) che nascono le relazioni più autentiche. Queste persone, continua, sono quelle che «amano passare il più tempo possibile in montagna o nella natura». Possiamo prendere le parole del fondatore di Patagonia meno alla lettera: la nostra montagna è una birra in un parco, un pranzo lungo di mercoledì, una giornata senza agenda. Perché il tempo libero condiviso è ciò che definisce il confine tra conoscenza e amicizia, tra collaborazione forzata e cura reciproca. E soprattutto – ed è qui che il discorso di Chouinard tocca una nota essenziale – «ciò che li accomuna tutti […] è una passione per qualcosa che va oltre sé stessi». Il punto non è quanto si lavora, ma cosa smuove l'animo. E se quella cosa non è solo una deadline ma un’etica, un amore per qualcosa (sia esso il surf, l’opera, l’attivismo civico o semplicemente la compagnia degli altri) allora anche l’amicizia può tornare ad essere una forza concreta, radicale e necessaria.
@cowboycomplex SHAKSHUKA WITH FRIENDS: breaking bread across the divide, Stoke Newington (2024)
nyc in 1940 - berlioz & Ted Jasper
Eccole, queste dieci semplici pratiche, nate per aiutarci a capire quanto possano essere sinceri, profondi, reali i rapporti d’amicizia tra creativi. La prima: se ti chiedono come stai, rispondi davvero; parti da come ti senti, non da cosa hai da fare. Lascia perdere i task e prova a fare un vero emotional check. “Sono pieno di cose da fare” non è una risposta così interessante come l'industria creativa ci ha portato a pensare. E se l'amicizia può essere vista come un lavoro, specialmente nel mondo delle arti, allora non bisogna relegare i rapporti più importanti a piccoli ritagli di tempo. In più, basta con le amicizie su LinkedIn: è una questione di networking transparency. Molti lavori nascono da connessioni personali, e non c’è nulla di male, ma il silenzio strategico non porta mai lontano. C’è poi la questione della sensibilità economica. Non tutti hanno lo stesso background, le stesse condizioni finanziarie. C’è chi lavora in una corporate e chi, invece, sopravvive da freelance in un sistema instabile. L’ansia da debito per sentirsi inclusi non è più accettabile. Un’altra cosa importante: bisogna trattare tutti allo stesso modo. Il mondo non è fatto di titoli professionali, ma di persone. Agli eventi, la domanda è sempre «Tu cosa fai?», ma se la risposta non porta a un lavoro imminente, non è un motivo per smettere di ascoltare.
Già che ci siamo, ricordiamoci i nomi. La memoria è una forma di rispetto. Dimenticarli non è solo una figuraccia, ma una mancanza di attenzione, soprattutto se a lavoro si ricordano a memoria i codici articolo di ogni prodotto. I nomi, nella vita vera, contano di più. Poi bisogna ascoltare davvero. È facile tenere la mente occupata con le cose da fare la mattina seguente, ma se qualcuno ti racconta qualcosa di personale, non lavorativo, c'è bisogno di tendere l'orecchio. È un gesto semplice, ma costruisce fiducia e apre la porta a relazioni vere. Fai incontrare le persone tra loro, non ti chiudere nei tuoi micro-mondi. Mischia i gruppi: gli amici del liceo e i colleghi creativi possono convivere benissimo – anzi, si arricchiscono a vicenda. Prospettive diverse sono fondamentali. E se parliamo di arricchirsi: basta delegare le conversazioni stimolanti ai podcast. Si possono creare dal vivo, nei bar o nei salotti. Basta weekend passati a commentare gossip da agenzia. Infine, la regola più scontata ma più difficile di tutte: essere se stessi. La coerenza è un valore che sta scomparendo. Cambiamo tono, idee, attitudini in base a chi abbiamo davanti. Ma essere consistenti, anche nei contesti più instabili, è l’unica strada per costruire fiducia. L’autenticità è la nuova moneta relazionale. La nostra generazione ha l’obbligo di cancellare dinamiche di un'industria storicamente con la puzza sotto al naso - l’opacità ed il finto mistero, del resto, non vanno più di moda.